domenica 12 giugno 2022

Il ventaglio magico o, l'Arcano numero 6

Ester brandiva le carte a mo’ di ventaglio, solo che a Stella più che un gesto magico ricordava banalmente le carte ‘napoletane’ nelle mani dei giocatori di briscola; questo modo di brandire i Tarocchi la sconcertò, facendola dubitare delle capacità della chiromante. Non che Stella amasse giocare alle carte, ma da sempre era affascinata dagli anziani giocatori che nei pomeriggi d’estate, sulla terrazza del Ristorante del nonno Pietro, si dedicavano a interminabili partite reggendo le carte a ventaglio per poi calarle, una ad una, con foga sul tavolaccio. Fin da quand’era piccola le vacanze significavano una trasferta di tutta la famiglia a Montepulciano, a casa dei nonni materni che gestivano il ristorante ‘Olio e bruschetta’ sulle colline della Val d’Orcia. Dalla casa dei nonni, un vero e proprio cascinale in pietra costruito agli inizi del secolo a Casale Val d’Orcia, paese natale del nonno, si poteva scorgere il campanile di Pienza, cittadina magica dove anche i nomi delle vie suggerivano a lei adolescente, presagi teneri e densi di future delizie: Via della Fortuna, Via dell’Amore, Via del Bacio …

Era stato proprio a Pienza che Stella aveva visto per la prima volta Fausto.

Come lei, che era in paese con le amiche dell’estate, anche lui era con un gruppo di ragazzi, tutti rigorosamente maschi, chi alto, chi tozzo, chi allampanato, tutti più o meno brufolosi. Poi lui: bello, i capelli corti sui lati e il ciuffo a ‘tendina’, come era la moda dei cantanti dell’epoca, gli occhi marroni e profondi, il sorriso appena accennato in mezzo alla banda di sguaiati del paese. Quando due ‘compagnie’, maschi e femmine, si incontrano nella piazza di un paese è praticamente fisiologico che partano gli sguardi, le risatine, i commenti a voce alta dei maschi, prontamente raccolti e commentati ‘pissi pissi bau bau’ nel gruppo delle femmine. Ada, la più disinvolta e navigata delle amiche di Stella, si raccontava che avesse già baciato almeno cinque maschi, conosceva un ragazzo della compagnia festante e quindi fu facile mischiarsi e tutti insieme andare a prendere un gelato in Corso Rossellino, la via dello ‘struscio’ e dei negozi per turisti che si accalcavano durante le feste a comprare il famoso pecorino di Pienza e pacchi di Pici, i tipici spaghetti senesi che anche nel ristorante del nonno andavano per la maggiore conditi con il ragù d’anatra.

Stella non ricordava chi fu a fare la prima mossa, ma l’iniziativa di invitare proprio Fausto, solo lui, a trovarla nel casale del nonno il pomeriggio successivo, fu inevitabile. Misurato, forse un po’ timido Fausto si presentò alle cinque esatte con una scatola di cioccolatini per la nonna. La memoria di quell’estate, la scoperta dell’amore, della tenerezza, dei primi baci e delle caste carezze fece rigare di lacrime il viso già rugoso ma ancora affascinante di Stella. Dopo quell’estate, dopo la morte del nonno prima, e della nonna subito dopo, i suoi genitori avevano deciso di vendere il ristorante e conservare il casale per le vacanze.

Non ci avevano più messo piede. Il mare, i viaggi con papà e mamma, e poi le vacanze, finalmente da sola, Londra, la Grecia, avevano tenuto lontana Stella dalla Val d’Orcia e dalla casa dei nonni. Solo una volta, con Stefano, suo marito, decisero di fare una deviazione dal percorso verso la casa al mare per mostrare a Lucia, che aveva già compiuto dodici anni, il casale dove lei aveva trascorso fin da bimba i lunghi mesi estivi.

La visita a Ester, la maga, la cartomante che a detta di tutte le sue amiche riusciva a leggere nei tarocchi il destino, era avvenuta in concomitanza della rottura del rapporto con Stefano, terminato per consunzione, senza una precisa unica ragione e in occasione della partenza di Lucia per Dublino dove si trovava Marco, il suo fidanzato e dove, con ogni probabilità, sarebbe rimasta per terminare il suo dottorato di lingue. Sola, nella calura milanese, Stella si sentiva persa, senza una meta, la casa di Santa Margherita era stata affittata e l’iniziale voglia di regalarsi un viaggio era tramontata al pensiero della solitudine. Non che Stella fosse un tipo malinconico, anzi, quando lavorava, tutti la consideravano spiritosa, la più brillante dell’ufficio. Con la pensione anticipata, all’età di poco più di cinquant’anni si sentiva senza forze e vedeva il suo futuro a dir poco oscuro. Eccola dunque nella sala di attesa, esitante e fiduciosa, per farsi leggere le carte da Ester, maga dalle previsioni ‘certe’.

“Interessante”, disse Ester leggendo le prime carte riverse sul tavolino. “Non le chiedo della sua vita privata, le carte parlano chiaro, come pure chiaro è il suo collocamento professionale: lei è in pensione, vero?”, proseguì, dando per scontate le risposte di Stella. “Quello che vedo, però, e credo che sia questo il motivo della sua visita, è il futuro”. Anche dopo questa affermazione non attese la risposta della cliente, ma proseguì: “Il sei. L’arcano maggiore più atteso!” Questa carta, spiegò, rappresentava l’amore, l’affinità. Tolse la carta da quelle deposte e la mostrò a Stella che la osservò attentamente: “gli Amanti sono nudi nel giardino dell'Eden. L'uomo guarda la donna, la donna guarda in alto, verso un Angelo dalle ali spiegate e le braccia allargate. Alle spalle della donna vi è un albero da frutto su cui si avvolge un serpente. Dietro l'uomo vi è un albero in fiamme. In alto, il sole splende, mentre in lontananza vediamo un singolo picco montuoso”. Un picco che stella riconobbe senza alcun dubbio: assomigliava, stranamente, al Monte Amiata.

A questo punto non ci fu bisogno che Ester, la Maga, desse la sua interpretazione della carta a Stella. Lei aveva capito. Quello che non poteva sapere, nel momento in cui al volante della sua auto si dirigeva verso la Toscana, era se Fausto fosse vivo, se abitasse ancora in Toscana, se trascorresse ancora le vacanze in Val d’Orcia e, per ultimo, se fosse solo, come lei.

Con coraggio e con entusiasmo Stella spalancò gli scuri del vecchio casale, fece entrare il sole e l’aria tiepida del pomeriggio. Era pronta a fare una bella passeggiata in paese.


Ricomincio

Dieci anni di silenzio. Sul blog, evidentemente, perché altrove, nel mondo fisico ho 'parlato' lungamente. Ho pubblicato sei saggi e un romanzo e, inoltre, ben tre romanzi erotici con uno pseudonimo: per non mischiare le cose. Oltre ai saggi, ai romanzi, ho ricominciato a scrivere racconti su commissione, come mi era già accaduto in passato e sempre per motivi etici e/o di beneficienza. 

L'ultimo fa parte di un progetto di 'medicina narrativa' dove dei pazienti 'regalano' sei parole a un autore che utilizzando obbligatoriamente queste parole scrive un racconto che vedrà la pubblicazione, in forma anonima, come anonime devono essere le donazioni.

Le parole che mi sono state donate sono:

Stella

Ventaglio

Olio 

Casa

Ristorante

Cioccolatini

e, inoltre, 6, il numero che sempre dovrà comparire nei racconti.

Il racconto che ho scritto e che segue ha come titolo: Il ventaglio magico


lunedì 13 maggio 2013

L'avventura di vivere

Buio. Sarà perché ho gli occhi chiusi.
Anche aprendoli mi pare di non scorgere nulla di particolarmente interessante, è piuttosto angusto qui, accogliente, tranquillizzante ma, diciamocelo: stretto.
Caldo, umido, è come se fossi immerso in uno stagno lievemente limaccioso, come un pomeriggio di mezzo luglio ad Ischia. Oh, intendiamoci, ci sto bene qui, non mi posso certo lamentare. I rumori mi giungono attutiti, riconosco una voce, forse un'altra e poi la musica.
A volte sono nervoso, incerto, mi giro e mi rigiro tentando di riposare un poco e poi finalmente Shubert, uno dei miei preferiti. E' un pianoforte, lo riconosco, le note dell' Improvviso in A maggiore mi giungono attutite e struggenti, piangerei di gioia se conoscessi la gioia, mi rannicchio e mi lascio cullare fino ad assopirmi.
Mi dispiace lasciare questo posto; sì, è un po'angusto, ma del resto anch'io non sono un gigante, peserò si e no tre chili e mezzo di cui gran parte messi su in questi ultimi giorni.
Sento che il grande momento si avvicina. Lo percepisco dalle spinte attorno, dal nervosismo che ogni tanto mi assale ma, soprattutto, l'ho capito dai discorsi che, come la musica, mi giungono chiari, trasmessi alle onde del lago che mi circonda, rimandati dalla pelle ormai tesa come un tamburo del pancione della mia mamma.
E adesso? Non mi sento pronto. Anzi, a dirla tutta non ho ancora deciso se farlo oppure no questo passo.
Certo "loro" ci rimarrebbero proprio male, sono nove mesi che aspettano di vedermi. Non tanto mia madre, lei ed io siamo come uniti da un cordone. Mio padre è il vero problema. Chi lo conosce? lo no e lui tanto meno. Si, certo, riconosco la sua voce, sento il suo orecchio teso sul pancione quando parla con mamma; con lui non so proprio come comportarmi, non vorrei deluderlo. Con mamma è diverso. Da nove mesi mangio con lei, lei mi parla, ultimamente ho anche trovato un sistema per risponderle: lei mi chiama, mi accarezza attraverso la pancia ed io le rispondo con un calcetto, mi giro e replico con una gomitata.
Loro mi aspettano la fuori con trepidazione e paura.
Come posso deluderli? Sarei un verme, passerei alla storia come una specie di Celestino IV "che per viltà fece il gran rifiuto ", o qualcosa del genere.
Intendiamoci, non è viltà la mia. E' una razionale visione di quello che mi aspetta.
Ho cambiato posizione, ora sono a testa in giù. Pronto. Come posso mettermi a fare un bilancio preventivo di quello che mi aspetta in una posizione tanto scomoda, con la testa infilata nel collo dell'utero!
Tempo. Datemi un attimo, prometto che deciderò rapidamente. Ohi, questo canale mi stava proprio stretto, ho fatto bene a fare un passo indietro. Pensiamoci con calma, valutiamo. Diamo il giusto peso alle cose.
Quanto vale la loro attesa?
Più delle mortificazioni degli arroganti? Più della malattia? Più del dolore della prima perdita? Più dell'ansia nella ricerca della stabilità? Più di un futuro in un mondo ormai sempre più inquinato, malvagio e puzzolente? Più delle notti di veglia nell'attesa di un ritorno? Più dell'attesa di un bacio nelle tiepide sere di primavera? No, no, non ci siamo, questo sconvolge tutta la contabilità.
I primi fremiti d'amore quanto valgono? E i tradimenti? E il dolore del distacco dai figli ormai grandi?
Non mi innamorerò mai, non avrò figli e festa finita.
Ma allora cosa esco a fare? Quante serate disteso sulla spiaggia, mano nella mano a contar le stelle mi perderò? Posso rinunciare al profumo della terra bagnata dopo un temporale? E i sogni, i sogni, la musica, il canto delle allodole, l'aria delle sere d'estate e la fragranza di un corpo dopo l'amore, le coccole, le mani tra i capelli. Posso rinunciare ai giuramenti davanti al mare, ad un tramonto sulla brughiera solo per la paura di non farcela? Spingi. Arrivo.
Una spalla, poi l'altra.
Flashhh! Un lampo di luce. Che rumore. Che vita. Eccovi finalmente, siete contenti? L'abbraccio tranquillizzante e caldo, il mondo da fuori. Sono così commosso che mi viene da piangere.
Ueeeh, U eeeh.

9 e trenta del mattino. La prossima è Cremona.
Mi sarebbe piaciuto essere un liutaio ... Amati, Stradivari; Guarneri del Gesù, il mio preferito. Non so suonare il violino e in fondo non riconoscerei il suono di uno strumento fabbricato ieri
a Taiwan da quello di uno Stradivari del valore di tre, quatto milioni ... però, quel nome: Guarneri del Gesù, già il nome è musica preziosa.
Stazione di Cremona, la nebbia che avvolge, nasconde e protegge come quella di stamani. Così immagino fosse allora, tanti 'anni fa. Qualche carro sul selciato sconnesso, il rumore dei passi attutito dalla nebbia e una nota di violino che proviene da una bottega con le finestre illuminate nonostante l'ora. Viaggio "contromano", mancano tre ore a Roma e dal finestrino del mio scomparto scorgo appena gli olmi ghiacciati, gli attrezzi da lavoro come abbandonati nella campagna stopposa.
Fuori, la nebbia, e Guarneri del Gesù, il calore della bottega, l'odore della gommalacca e della colla, il legno che si curva e stagiona, si addomestica all'arte. Ho sempre amato la musica, forse perché l'ascoltavano i miei, fin da piccolo; quando facevo i capricci per addormentarmi, mia madre mi calmava mugolando un 'aria classica, penso che fosse Shubert, o Chopin non so. La nebbia è sempre più fitta stamattina, ho fatto bene a prendere il treno cosi Martina non sta in pensiero.

Buio. Sarà perché ho gli occhi chiusi.
Aprendoli scorgo gli scuri accostati. Nella penombra, in silenzio, Martina, Carlo, Simo e Letizia. Mi fissano. Letizia ha gli occhi umidi, come sua madre. Percepisco appena la mano di Simo sulla mia, anche lei deve aver pianto, tira su col naso.
Sento che il mio tempo sta per finire. Lo intuisco dagli sguardi attorno, dal nervosismo che ogni tanto mi assale. Dove finiscono tutti i ricordi quando si diventa grandi, quando si sta per andarsene? Dovrebbe restare almeno un sogno al quale aggrapparsi per non scivolare via.
Sono vecchio e ricco. Di ricordi, di sogni, di profumi, risate e lacrime. L'odore dell'oleandro si confonde alla fragranza dei capelli di Martina appena lavati. Ho visto il sole sorgere dalle valli di Caushung, l'ho seguito tramontare seduto sul molo di Key West, ricordo, come fosse ora, Frank Sinatra che canta My Way, Letizia che mi racconta che avrà un bambino. Come faccio a ricordare le note struggenti di Always e non il primo bacio a Lucia?
Kafka affermava che tre sono le cose che contano nella vita di un uomo: coltivare un campo, piantare un albero, generare un figlio. Se le cose stanno cosi non devo proprio aver rimpianti. Ho visto nascere i miei figli e i figli dei miei figli, il ciliegio che ho piantato dà frutti sempre più dolci. I campi li ho percorsi con la vista curiosa della nuova vita, amando la terra smossa dall'aratro e il lento divenire delle messi.
Fuori è ormai sera, lo percepisco dai rumori rallentati, dal silenzio degli uccelli. «Martina, tesoro, ti dispiacerebbe scostare gli scuri e aprire la finestra, deve esserci una bella stellata».

Cosa ha detto Kant prima di morire? «Es ist gut»
Flashhh!

Un lampo di luce, che silenzio, che pace. Sono così stanco di camminare, è cosi, forse, che si muore? 

Le temp qui passe sans rien dire

Il tempo che passa senza dire niente

domenica 14 agosto 2011

Filo spinato

Certi luoghi sono disseminati di filo spinato a cui si attaccano brandelli della nostra vita. Punte acuminate, maglie strette di un setaccio dove rimangono impigliati i ricordi più dolorosi, quelli che vorremmo dimenticare ma sotto sotto sappiamo che si nascondono dietro una curva di un viottolo di campagna, tra le note di una canzone, in un improvviso profumo di asfalto bagnato, di terra dopo il temporale.  Sono lì, in agguato, pronti a prenderci per la gola, a stringerci il cuore quel tanto che basta per avere la sensazione di una sorda sofferenza; non abbastanza da toglierci del tutto il fiato.
Sono i ricordi degli errori, delle debolezze, del tempo che non può tornare indietro e della nostra impotenza a cambiare anche un solo particolare di quanto accaduto; una parola, un gesto sarebbe forse stato sufficiente a schivare il filo spinato.

mercoledì 10 agosto 2011

The sound of life


Esiste una colonna sonora della vita? Una musica, una canzone ascoltata la prima volta nell’adolescenza e che ti segue per tutti gli anni a venire? non un ascolto casuale ma un’emozione che ogni volta rinnova sensazioni, pensieri, ricordi? Eccoci di nuovo alla famigerata madeleine. No, non proprio, questa volta intendo un tema musicale che ha scandito, magicamente, momenti differenti ma sempre cruciali della nostra esistenza. Succede solo a me oppure è condiviso da altri il trovarsi ad ascoltare “The sound of silence” di Simon & Garfunkel e ricordare un pomeriggio di Natale del ’68, all’uscita dalla proiezione del Laureato con Dustin Hoffman, Benjamin Braddock, quasi bambino. I tram e i bus nei giorni di Natale degli anni 60 terminavano il servizio nel primo pomeriggio, così io e Andrea, mio cugino, a piedi fino a casa abbiamo passato un’ora a raccontarci le scene del film che poi, nel corso degli anni, e non solo per noi due, sono diventate quello che oggi si definisce ‘cult’: “plastica, Ben, il futuro è nella plastica…”  ,”Signora Robinson, lei sta tentando di sedurmi!”. E la Duetto rossa? Fuori, intorno a noi le prime avvisaglie di un periodo prima ricco di attese poi ansioso e cupo per il nostro Paese, intorno a noi Berkeley ed Elaine Robinson, troppo bella e irraggiungibile. Il laureato è rimasto uno dei miei Cult, credo di averlo visto almeno dieci volte, con persone diverse che hanno contato, chi più chi meno, nella mia vita. Mi è addirittura capitato di vederlo in cinese…Mi trovavo ad Hong Kong, inizialmente per lavoro in Cina negli anni ottanta e poi per scelta impantanato in una lunga residenza quando mi sono imbattuto in un manifesto cinematografico promozionale, rigorosamente realizzato a mano come usava in Cina allora, raffigurante Mr Robinson che si sfila una calza davanti agli occhi attoniti di Benjamin – Dustin…non ho saputo resistere.
Dopo oltre quarant’anni ogni volta che ascolto The sound of silence mi stupisco nel constatare la sua bellezza e la sua attualità. Proprio ieri, percorrendo la strada che costeggia il delta del Po tra Rovigo e Chioggia, quando il sole del tramonto riflesso sulle acque  della laguna ti ferisce gli occhi e trasfigura il paesaggio fatto di acqua, pali, radura strappata al mare salmastro e uccelli di palude le note della canzone mi hanno fatto pensare che difficilmente una canzone, una musica un cantante di oggi, per quanto magico, riuscirà a trascorrere tanti anni con la sua carica evocativa e in qualche modo così densa di suggestioni. Vasco? Quando a ottant’anni sentirò ‘Vivere’ riuscirò ancora a commuovermi?

mercoledì 6 luglio 2011

Un mese dopo


E' poco più di un mese che ho cominciato a tenere questo diario virtuale. Non voglio ancora esprimere un giudizio o un’ impressione su questa esperienza: non mi sono ancora chiari tutti i termini della presenza on line e di quello che significa. Quello che è certo è che ho cominciato a condividere pensieri, opinioni, riflessioni con altri “perditempo” come me. Ho cominciato ad addentrarmi nella selva dei blog e dei blogger e ho trovato alberi bellissimi, terreni ben coltivati e qualche erbaccia. Sui contenuti non posso esprimere un giudizio che è strettamente connesso al senso che ciascuno vuole attribuire alla sua presenza in rete, sul panorama, sulla grafica ho per lo più un’impressione molto positiva in termini di cura, di raffinatezza, di ricerca estetica; blog come quello di Samshara con un raffinato bianco e nero o quello di Dud con le immagine delle vette estreme, a prescindere dai contenuti che pur seguo, mi creano una grande ‘invidia’ per la loro cura e mi stimolano a migliorare se non cambiare totalmente l’estetica “francescana” e standard della mia pagina. Ma, mi chiedo, è importante scegliere il diario sul quale appuntare dei contenuti che vogliamo condividere o semplicemente fissare? E’ un po’ come all’inizio della scuola, i primi anni delle elementari, la cosa più eccitante quando settembre volgeva al termine e la scuola incombeva col canonico primo ottobre, l’unico motivo di piacere per il ritorno dalle vacanze era rappresentato dal rivedere i compagni ma, più di tutto, dalla scelta dell’astuccio e del diario. A distanza di qualche decina di anni ho capito il valore della conoscenza ma, evidentemente, la scelta del diario è ancora ai primi posti.