lunedì 13 maggio 2013

L'avventura di vivere

Buio. Sarà perché ho gli occhi chiusi.
Anche aprendoli mi pare di non scorgere nulla di particolarmente interessante, è piuttosto angusto qui, accogliente, tranquillizzante ma, diciamocelo: stretto.
Caldo, umido, è come se fossi immerso in uno stagno lievemente limaccioso, come un pomeriggio di mezzo luglio ad Ischia. Oh, intendiamoci, ci sto bene qui, non mi posso certo lamentare. I rumori mi giungono attutiti, riconosco una voce, forse un'altra e poi la musica.
A volte sono nervoso, incerto, mi giro e mi rigiro tentando di riposare un poco e poi finalmente Shubert, uno dei miei preferiti. E' un pianoforte, lo riconosco, le note dell' Improvviso in A maggiore mi giungono attutite e struggenti, piangerei di gioia se conoscessi la gioia, mi rannicchio e mi lascio cullare fino ad assopirmi.
Mi dispiace lasciare questo posto; sì, è un po'angusto, ma del resto anch'io non sono un gigante, peserò si e no tre chili e mezzo di cui gran parte messi su in questi ultimi giorni.
Sento che il grande momento si avvicina. Lo percepisco dalle spinte attorno, dal nervosismo che ogni tanto mi assale ma, soprattutto, l'ho capito dai discorsi che, come la musica, mi giungono chiari, trasmessi alle onde del lago che mi circonda, rimandati dalla pelle ormai tesa come un tamburo del pancione della mia mamma.
E adesso? Non mi sento pronto. Anzi, a dirla tutta non ho ancora deciso se farlo oppure no questo passo.
Certo "loro" ci rimarrebbero proprio male, sono nove mesi che aspettano di vedermi. Non tanto mia madre, lei ed io siamo come uniti da un cordone. Mio padre è il vero problema. Chi lo conosce? lo no e lui tanto meno. Si, certo, riconosco la sua voce, sento il suo orecchio teso sul pancione quando parla con mamma; con lui non so proprio come comportarmi, non vorrei deluderlo. Con mamma è diverso. Da nove mesi mangio con lei, lei mi parla, ultimamente ho anche trovato un sistema per risponderle: lei mi chiama, mi accarezza attraverso la pancia ed io le rispondo con un calcetto, mi giro e replico con una gomitata.
Loro mi aspettano la fuori con trepidazione e paura.
Come posso deluderli? Sarei un verme, passerei alla storia come una specie di Celestino IV "che per viltà fece il gran rifiuto ", o qualcosa del genere.
Intendiamoci, non è viltà la mia. E' una razionale visione di quello che mi aspetta.
Ho cambiato posizione, ora sono a testa in giù. Pronto. Come posso mettermi a fare un bilancio preventivo di quello che mi aspetta in una posizione tanto scomoda, con la testa infilata nel collo dell'utero!
Tempo. Datemi un attimo, prometto che deciderò rapidamente. Ohi, questo canale mi stava proprio stretto, ho fatto bene a fare un passo indietro. Pensiamoci con calma, valutiamo. Diamo il giusto peso alle cose.
Quanto vale la loro attesa?
Più delle mortificazioni degli arroganti? Più della malattia? Più del dolore della prima perdita? Più dell'ansia nella ricerca della stabilità? Più di un futuro in un mondo ormai sempre più inquinato, malvagio e puzzolente? Più delle notti di veglia nell'attesa di un ritorno? Più dell'attesa di un bacio nelle tiepide sere di primavera? No, no, non ci siamo, questo sconvolge tutta la contabilità.
I primi fremiti d'amore quanto valgono? E i tradimenti? E il dolore del distacco dai figli ormai grandi?
Non mi innamorerò mai, non avrò figli e festa finita.
Ma allora cosa esco a fare? Quante serate disteso sulla spiaggia, mano nella mano a contar le stelle mi perderò? Posso rinunciare al profumo della terra bagnata dopo un temporale? E i sogni, i sogni, la musica, il canto delle allodole, l'aria delle sere d'estate e la fragranza di un corpo dopo l'amore, le coccole, le mani tra i capelli. Posso rinunciare ai giuramenti davanti al mare, ad un tramonto sulla brughiera solo per la paura di non farcela? Spingi. Arrivo.
Una spalla, poi l'altra.
Flashhh! Un lampo di luce. Che rumore. Che vita. Eccovi finalmente, siete contenti? L'abbraccio tranquillizzante e caldo, il mondo da fuori. Sono così commosso che mi viene da piangere.
Ueeeh, U eeeh.

9 e trenta del mattino. La prossima è Cremona.
Mi sarebbe piaciuto essere un liutaio ... Amati, Stradivari; Guarneri del Gesù, il mio preferito. Non so suonare il violino e in fondo non riconoscerei il suono di uno strumento fabbricato ieri
a Taiwan da quello di uno Stradivari del valore di tre, quatto milioni ... però, quel nome: Guarneri del Gesù, già il nome è musica preziosa.
Stazione di Cremona, la nebbia che avvolge, nasconde e protegge come quella di stamani. Così immagino fosse allora, tanti 'anni fa. Qualche carro sul selciato sconnesso, il rumore dei passi attutito dalla nebbia e una nota di violino che proviene da una bottega con le finestre illuminate nonostante l'ora. Viaggio "contromano", mancano tre ore a Roma e dal finestrino del mio scomparto scorgo appena gli olmi ghiacciati, gli attrezzi da lavoro come abbandonati nella campagna stopposa.
Fuori, la nebbia, e Guarneri del Gesù, il calore della bottega, l'odore della gommalacca e della colla, il legno che si curva e stagiona, si addomestica all'arte. Ho sempre amato la musica, forse perché l'ascoltavano i miei, fin da piccolo; quando facevo i capricci per addormentarmi, mia madre mi calmava mugolando un 'aria classica, penso che fosse Shubert, o Chopin non so. La nebbia è sempre più fitta stamattina, ho fatto bene a prendere il treno cosi Martina non sta in pensiero.

Buio. Sarà perché ho gli occhi chiusi.
Aprendoli scorgo gli scuri accostati. Nella penombra, in silenzio, Martina, Carlo, Simo e Letizia. Mi fissano. Letizia ha gli occhi umidi, come sua madre. Percepisco appena la mano di Simo sulla mia, anche lei deve aver pianto, tira su col naso.
Sento che il mio tempo sta per finire. Lo intuisco dagli sguardi attorno, dal nervosismo che ogni tanto mi assale. Dove finiscono tutti i ricordi quando si diventa grandi, quando si sta per andarsene? Dovrebbe restare almeno un sogno al quale aggrapparsi per non scivolare via.
Sono vecchio e ricco. Di ricordi, di sogni, di profumi, risate e lacrime. L'odore dell'oleandro si confonde alla fragranza dei capelli di Martina appena lavati. Ho visto il sole sorgere dalle valli di Caushung, l'ho seguito tramontare seduto sul molo di Key West, ricordo, come fosse ora, Frank Sinatra che canta My Way, Letizia che mi racconta che avrà un bambino. Come faccio a ricordare le note struggenti di Always e non il primo bacio a Lucia?
Kafka affermava che tre sono le cose che contano nella vita di un uomo: coltivare un campo, piantare un albero, generare un figlio. Se le cose stanno cosi non devo proprio aver rimpianti. Ho visto nascere i miei figli e i figli dei miei figli, il ciliegio che ho piantato dà frutti sempre più dolci. I campi li ho percorsi con la vista curiosa della nuova vita, amando la terra smossa dall'aratro e il lento divenire delle messi.
Fuori è ormai sera, lo percepisco dai rumori rallentati, dal silenzio degli uccelli. «Martina, tesoro, ti dispiacerebbe scostare gli scuri e aprire la finestra, deve esserci una bella stellata».

Cosa ha detto Kant prima di morire? «Es ist gut»
Flashhh!

Un lampo di luce, che silenzio, che pace. Sono così stanco di camminare, è cosi, forse, che si muore? 

Le temp qui passe sans rien dire

Il tempo che passa senza dire niente